Quasimodo, Salvatore – Vento a Tindari (poesia)

SALVATORE QUASIMODO

VENTO A TINDARI.

Tindari, mite ti so
Fra larghi colli pensile sull’acque
Delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.

Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima

A te ignota è la terra
Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.

Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.

Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.

a)Quasìmodo, Salvatore

Enciclopedia on line

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Poeta italiano (Modica 1901 – Napoli 1968). Premio Nobel per la letteratura (1959). Formatosi nel gusto della poesia ermetica fra Ungaretti e Montale, più vicino a quello per l’essenzialità quasi epigrammatica dell’espressione, per l’altezza del tono, più affine a questo per le soluzioni paesistiche del suo analogismo, Q. è venuto temperando tali influssi originari in un linguaggio poeticamente sempre più autonomo, che libera quella sua intensa sensualità in trepide visioni.

a.1VITA E OPERE

Avviato agli studi tecnici, apprese poi da sé le lingue classiche; dal 1941 al 1968 insegnò letteratura italiana nel conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Formatosi nel gusto della poesia ermetica, dopo iniziali riecheggiamenti ungarettiani e montaliani, trovò appropriata espressione alla sua densa e dolente sensualità in trepide visioni di terre, acque, stagioni, in un’aura arcanamente memore di metamorfosi e di miti (Acque e terre, 1930; Oboe sommerso, 1932; Odore di Eucalyptus ed altri versi, 1933; Erato e Apollion, 1936; Poesie, 1938; Ed è subito sera, 1942, in cui confluirono le raccolte precedenti); e successivamente, con l’approfondirsi di quel senso a coscienza del dolore, in evocazioni più aderenti alla realtà storica e sociale, dai modi sempre elegiaci ma più articolati ed effusi, anche se insidiati talora da cadute nel prosastico (Giorno dopo giorno, 1947; La vita non è sogno, 1949; Il falso e vero verde, 1956; La terra impareggiabile, 1958). Negli ultimi anni di vita intraprese molti viaggi in Europa e fuori d’Europa che gli suggerirono diverse composizioni di Dare e avere (1966), la sua ultima raccolta, che è anche un testamento spirituale. L’ossessionante incontro con la morte (già affiorante ne La terra impareggiabile) è un evento dal poeta avvertito come non lontano nel tempo per il peggiorare delle sue condizioni fisiche («Non ho paura della morte, come non ho avuto timore della vita»). Ne deriva soprattutto un distacco dalla materia quotidiana e dalle occasioni contingenti che possono aver ispirato le singole liriche. Al graduale affrancarsi del suo linguaggio dallo stretto analogismo iniziale contribuì la sua assidua opera di traduttore dai poeti greci e latini (Lirici greci, 1940; Il fiore delle Georgiche, 1942; Dall’Odissea, 1946; Edipo re, 1947; Canti di Catullo, 1955; Fiore dell’Antologia Palatina, 1958). Curò anche alcune traduzioni da Shakespeare, e compilò un’antologia della Lirica d’amore italianadalle origini ai nostri giorni (1957) e un’altra della Poesia italiana del dopoguerra (1958). Un complessivo cenno a parte, inoltre, meritano varie introduzioni prevalentemente dedicate a opere di artisti contemporanei (ma non manca una su Michelangelo), nonché quelle ai volumi della collana «Poeti italiani contemporanei» diretta dallo stesso poeta. Da ricordare anche i volumi Scritti sul teatro (1961), Il poeta e il politico e altri saggi (1967), Poesie e discorsi sulla poesia (post., 1971), A colpo omicida e altri scritti (post., 1977).

UN MODO PESSIMO DI LEGGERE UNA POESIA E’ QUELLO CHE SI USA NELL’ODIERNA SCUOLA DEI PROFESSORI-BUROCRALTI.

ECCONE UN SIGNIFICATIVO ESEMPIO:

Analisi del testo: “Vento a Tindari” di Salvatore Quasimodo

Vento a Tindari è stata composta da Salvatore Quasimodo ed è stata pubblicata nel 1930 all’interno della raccolta Acque e Terre, confluita poi in Ed è subito seraNell’analisi del testo di Vento a Tindari presentata di seguito, oltre a sviluppare la parafrasi e riconoscere le figure retoriche, all’interno del commento vengono analizzate le tematiche, i significati, lo stile e la lingua di questa poesia che il poeta dedica alla terra natale ormai lontana, rievocandone il ricordo con nostalgia e tormento.

a.1.1Scheda dell’opera

  • Autore Salvatore Quasimodo
  • Titolo dell’Opera Acque e Terre
  • Data 1930 (il testo è stato pubblicato nella prima raccolta di Quasimodo, Acque e Terre, ed è poi confluito nel 1942 in Ed è subito sera, opera che contiene tutte le raccolte precedenti con l’aggiunta delle Nuove Poesie).
  • Genere Poesia lirica
  • Forma metrica Cinque strofe di lunghezza variabile per un totale di 35 versi.

a.2Testo della poesia

1. Tindari, mite ti so
2. fra larghi colli pensile sull’acque
3. delle isole dolci del dio,
4. oggi m’assali
5. e ti chini in cuore.

6. Salgo vertici aerei precipizi,
7. assorto al vento dei pini,
8. e la brigata che lieve m’accompagna
9. s’allontana nell’aria,
10. onda di suoni e amore,
11. e tu mi prendi
12. da cui male mi trassi
13. e paure d’ombre e di silenzi,
14. rifugi di dolcezze un tempo assidue
15. e morte d’anima.

16. A te ignota è la terra
17. ove ogni giorno affondo
18. e segrete sillabe nutro:
19. altra luce ti sfoglia sopra i vetri
20. nella veste notturna,
21. e gioia non mia riposa
22. sul tuo grembo.

23. Aspro è l’esilio,
24. e la ricerca che chiudevo in te
25. d’armonia oggi si muta
26. in ansia precoce di morire;
27. e ogni amore è schermo alla tristezza,
28. tacito passo al buio
29. dove mi hai posto
30. amaro pane a rompere.

31. Tindari serena torna;
32. soave amico mi desta
33. che mi sporga nel cielo da una rupe
34. e io fingo timore a chi non sa
35. che vento profondo m’ha cercato.

a.3Parafrasi affiancata

1. Tindari, sebbene ti conosca come un luogo mite
2. situato fra colline ampie e sospeso di fronte alle acque
3. delle dolci isole Eolie, residenza mitica del dio dei venti,
4. oggi mi assali (con il tuo ricordo)
5. e fai commuovere il mio cuore.

6. Salgo vette elevate e precipizi,
7. sono trascinato dal vento che soffia fra i pini,
8. e vedo i miei amici che mi accompagnano lietamente
9. allontanarsi nell’aria,
10. che porta come un’onda i loro suoni e il loro affetto,
11-12. e tu, terra dalla quale mi allontanai a mio danno, mi catturi (con il tuo ricordo)
13. e così vengo catturato da paure d’amore e di silenzi,
14. che un tempo erano il rifugio di continue dolcezze
15. e oggi rappresentano invece l’angoscia della mia anima.

16-18. La terra dove affondo ogni giorno e dove scrivo poesie in segreto ti è ignota:
19. un’altra luce illumina le finestre delle tue case
20. nella notte,
21. e una gioia che ora non provo più
22. è rimasta in te.

23. L’esilio è duro
24. e la ricerca di felicità che speravo di trovare in te
25. oggi si trasforma
26. nel timore di morire presto:
27-28. e ogni amore è soltanto un nascondimento per la tristezza, un passo silenzioso nel buio
29. nella città dove tu mi hai costretto ad andare
30. per guadagnarmi da vivere con difficoltà (per comprare e spezzare pane amaro).
31. Tindari ritorna serena;
32-33. un gentile amico mi risveglia dall’essere assorto nei miei pensieri per evitare che io mi sporga da una rupe
34-35. e io fingo di avere paura del pericolo di fronte al mio amico che non sa quale impetuoso vento (di pensieri e ricordi) mi ha travolto.

a.4Parafrasi discorsiva

Tindari, sebbene ti conosca come un luogo mite situato fra colline ampie e sospeso di fronte alle acque delle dolci isole Eolie, residenza mitica del dio dei venti, oggi mi assali (con il tuo ricordo) e fai commuovere il mio cuore. Salgo vette elevate e precipizi, sono trascinato dal vento che soffia fra i pini, e vedo i miei amici che mi accompagnano lietamente allontanarsi nell’aria, che porta come un’onda i loro suoni e il loro affetto, e tu, terra dalla quale mi allontanai a mio danno, mi catturi (con il tuo ricordo) e così vengo catturato da paure d’amore e di silenzi, che un tempo erano il rifugio di continue dolcezze e oggi rappresentano invece l’angoscia della mia anima.

La terra dove affondo ogni giorno e dove scrivo poesie in segreto ti è ignota: un’altra luce illumina le finestre delle tue case nella notte, e una gioia che ora non provo più è rimasta in te. L’esilio è duro e la ricerca di felicità che speravo di trovare in te oggi si trasforma nel timore di morire presto: e ogni amore è soltanto un nascondimento per la tristezza, un passo silenzioso nel buio nella città dove tu mi hai costretto ad andare per guadagnarmi da vivere con difficoltà (per comprare e spezzare pane amaro). Tindari ritorna serena; un gentile amico mi risveglia dall’essere assorto nei miei pensieri per evitare che io mi sporga da una rupe e io fingo di avere paura del pericolo di fronte al mio amico che non sa quale impetuoso vento (di pensieri e ricordi) mi ha travolto.

a.5Figure Retoriche

  • Allitterazioni

 v.1:”Tindari, mite ti so”; v.2: ”fra larghi colli pensile sull’acque”; v.3: “delle isole dolci del dio”; v.5: “e ti chini in cuore”; v.9: “s’allontana nell’aria”; v.18: “e segrete sillabe nutro”; v.19: “altra luce ti sfoglia sopra i vetri”; vv.25-26-27: “d’armonia oggi si muta/ in ansia precoce di morire/ e ogni amore è schermo alla tristezza”; v.30: “amaro pane a rompere”; v.31: “Tindari serena torna”; v. 32: “soave amico mi desta”;

  • Enjambements

 vv.1-2; 2-3; 8-9; 11-12; 16-17; 19-20; 21-22; 24-25; 25-26; 28-29; 29-30; 32-33; 34-35;

  • Assonanze v.1: “Tindari”/”mite”; vv. 6-7: “precipizi”/ “pini”; vv. 8-9: ”accompagna”/”aria”; vv. 11-13: “prendi”/”silenzi”; vv. 27-32: “tristezza”/”desta”;
  • Personificazione

 v.1, v.31: “Tindari” (il poeta si rivolge alla città natale e le dedica le sue parole come se si trattasse di una persona);

  • Anafore

 vv.11-13-15: “e tu…”/ “e paure…”/ “e morte…”;

  • Antitesi vv. 14-15: “rifugi di dolcezze”/”morte d’anima”;
  • Sineddoche v.18: “segrete sillabe” indica la poesia (la parte per il tutto);
  • Sinestesia

 v.28: “tacito passo” (accostamento di una parola appartenente alla sfera uditiva con un’altra propria della sfera tattile)

  • Metafore

 v. 5: “ti chini in cuore”; v.10: “onda di suoni e amore”; v. 15: “morte d’anima”; v. 20: “veste notturna”; v. 22: “sul tuo grembo”; v. 27: “ogni amore è schermo alla tristezza”; v. 30: “amaro pane a rompere”;

  • Analogie v. 6: “Salgo vertici aerei precipizi; v. 7: “vento dei pini”; v. 10: “onda di suoni e amore”; v. 13-14: “paure d’ombre e di silenzi/ rifugi di dolcezze”;
  • Iperbato

 v.1: “Tindari, mite ti so”; v. 11-12: “e tu mi prendi/ da cui male mi trassi”; v.18: “e segrete sillabe nutro”; vv. 24-25: “e la ricerca che chiudevo in te/ d’armonia oggi si muta”; vv. 32-33: “soave amico mi desta/ che mi sporga nel cielo da una rupe”.

a.6Analisi e Commento

Vento a Tindari è un testo poetico contenuto nella raccolta Acque e Terre di Salvatore Quasimodo, pubblicata nel 1930 presso le edizioni “Solaria” e poi confluita nel 1942 in Ed è subito sera, opera che contiene tutte le raccolte precedenti con l’aggiunta delle Nuove Poesie.

Acque e Terre rappresenta la raccolta d’esordio di Quasimodo che lo rende ben presto riconoscibile come uno dei massimi esponenti dell’ermetismo italiano. La tematica principale dell’opera è la nostalgia verso la terra natale, la Sicilia, che il poeta fu costretto ad abbandonare nel 1919; egli esprime pertanto sentimenti di profondo dolore e angoscia per la presente condizione d’esilio insieme a ricordi di dolcezza e pace evocati dal paesaggio dell’isola, le cui meraviglie naturali diventano al tempo stesso fonte di conforto e di malinconia. Il tutto è descritto attraverso uno stile alto e sublime, pienamente in linea con le istanze poetiche tipiche dell’ermetismo, che Quasimodo mutua in parte da Ungaretti, per quanto riguarda la solennità del dettato e il sapiente utilizzo degli artifici retorici, in parte da Cardarelli, per gli stilemi neoclassici e i riferimenti mitologici.

Nell’incipit della poesia Vento a Tindari il poeta si rivolge in modo diretto alla città menzionata nel titolo, che viene sin da principio personificataIn questa prima strofa (vv.1-5) Tindari viene descritta attraverso i connotati tipici del paesaggio arcadico, con i “largi colli” che si affacciano sull’acqua, posti di fronte alle Isole Eolie, consacrate al dio dei venti Eolo secondo la mitologia classica. Tuttavia, al contrario di quanto avveniva in un poeta come Petrarca, il paesaggio idilliaco è in forte contrasto con lo stato d’animo del poeta: la città sembra “assalirlo” all’improvviso con il suo ricordo nostalgico e sembra adagiarsi fisicamente nel suo cuore.

Nella seconda strofa (vv.6-15) l’io lirico immagina se stesso risalire le vette di quella terra lontana ed essere travolto dal vento che soffia tra i pini; gli elementi naturali sono evocati mediante una serie di procedimenti analogici che accostano l’astratto e il concreto, nonché il paesaggio esterno e la condizione interiore del poeta. Anche gli amici di un tempo (“la brigata che lieve m’accompagna”) affiorano nella sua immaginazione come in un sogno, ma risultano smaterializzati in un’onda che porta con sé melodie e sentimenti ancora vividi. Il poeta approfondisce il suo rapporto con la Sicilia attraverso emozioni antitetiche: il silenzio oscuro di quel luogo costituiva un tempo un dolce rifugio, mentre ora l’allontanamento forzato lo ha trasformato in un ricordo tormentato, che sembra causare addirittura la morte nell’animo del poeta.

Nella terza strofa (vv.16-22) l’io lirico si rivolge nuovamente a Tindari evidenziando la lontananza che lo separa attualmente dalla città: il paesaggio maestoso di Tindari non può avere conoscenza del luogo dove ora il poeta vive, affogando nel dolore e componendo i suoi versi oscuri, poiché un’altra luce (non appartenente al poeta) si accende dietro i vetri delle sue case e altre persone possono godere della gioia di riposare sul grembo materno della terra natale.

Nella quarta strofa (vv. 23-30) il poeta specifica che, dopo il suo triste esilio, la ricerca di bellezza e armonia che avveniva in quella natura sconfinata si è trasformata nella precoce paura di morire, inevitabilmente lontano da essa. Persino il suo amore rappresenta il nascondimento (lo “schermo”, con lessema di ascendenza dantesca) di una più radicata tristezza. La condizione di necessità che ha indotto il poeta a lasciare Tindari è segnalata dalla metafora dell’”amaro pane a rompere”: il pane che si è guadagnato con il proprio lavoro è “amaro” poiché gli è costato un grande sacrificio.

Nella quinta e ultima strofa (vv. 31-35) ritorna esplicitamente la personificazione “Tindari” e il poeta, risvegliato da un amico dalla sua fantasticheria, si ritrova in posizione precaria su una rupe – anche questa un’immagine di stampo classico e mitologico. Egli finge così di essere impaurito per il rischio di precipitare, nascondendo che la sua inquietudine deriva invece dal “vento profondo” del ricordo che lo ha travolto in sogno.

La poesia Vento a Tindari presenta, da un punto di vista metrico, strofe di lunghezza irregolare e versi di misura altamente variabile, sebbene spesso riconducibili alle misure consuete della metrica italiana (endecasillabo, settenario, quinario…).

In questo testo poetico, così come nelle altre liriche contenute in Acque e Terre,la lingua utilizzata da Quasimodo presenta un lessico estremamente selezionato e aulico, con una frequente commistione di lessemi che indicano elementi naturali o classicheggianti/arcadici e lessemi astratti, relativi a sentimenti ed emozioni, plurali indefiniti senza articolo (i cosiddetti “plurali assoluti”), aggettivi ascrivibili alla sfera semantica del sublime (“mite”,”dolce”,”lieve”). La sintassi alterna periodi più regolari a inversioni di costrutto, in particolare gli iperbati, frequenti nella lingua latina.

Come avviene in molti testi italiani degli anni Trenta, la lirica Vento a Tindari rappresenta un tipico esempio di stile alto, tragico e solenne, che si avvale dell’utilizzo di stilemi tipicamente ermetici: si vedano ad esempio l’abbondanza di figure retoriche, in particolare metafore e analogie, il richiamo diretto o indiretto alla tradizione greca e latina, la presenza di topoi del genere lirico che determinano la descrizione dello stato interiore del soggetto attraverso sentimenti nobili e generici, la costruzione di strategie verbali volte a creare un’atmosfera di evanescenza e lontananza.

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