Bergman, Ingmar – PERSONA (film con Liv Ulman), la tragedia contemporanea del rifiuto del mondo

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L’EPIFANIA DI UN’OPERA OMNIA.

Recensione di Annarita Mazzucca

Considerata la pellicola più matura di Bergman, l’economia intera del film gioca sulla trasversalità dei temi portanti della filmica bergmaniana. ll risultato è l’epifania di un’opera omnia, la proiezione di una lunga seduta di auto maieutica: il regista, nello scriverlo scelse persino di ritirarsi nella solitudine riflessiva di un isola deserta, scenografia della sceneggiatura di Persona.
Onnipresente è il tema della fede. Alma, nel parlare difatti di “grida della fede e del dubbio nell’oscurità e nel silenzio” sembra rimandare a quei primissimi fotogrammi del Vangelo recitato nella chiesa scandalosamente vuota di Luci d’Inverno o al rifiuto del silenzio di Dio urlato nel segreto del macabro confessionale de Il Settimo Sigillo. L’incipit di Persona, invece, è una sequela di fotogrammi apparentemente privi di senso, percepibili dal sonno o dall’inconscio. La pellicola ha il pregio di mantenere un’intensità perpetua per l’intero girato, mentre si ravvisa una contaminazione dapprima a latere ma sempre più insistentemente morbosa che porterà l’io delle due donne a decomporsi. Il dissolversi l’una nell’altra avviene come nell’eterno risucchio tra luci ed ombre, così magistralmente reso da Bergman in questa pellicola, dove, lo scambio delle confessioni finali delle protagoniste in un rapporto intimista con la macchina da presa, diviene metafora realistica dello stesso cinema, in cui l’interlocutore della presunta dialogicità filmica, si insinua sempre fuori campo, al di qua dello schermo, agevolando l’unico continuum della propria stessa carne, così come nella fusione stessa del volto delle due donne.
La stessa inquietante dissolvenza e coincidenza di due nuclei umani sarebbe stata tratteggiata diversi decenni dopo nell’indimendicato Mulholland Drive di David Lynch (in cui, non a caso, una delle due protagoniste è un attrice). Qui la dissolvenza è scambio sin dal principio e il dipanarsi successivo della sinossi disvela la schizofrenica commistione di Anna tra l’essere e il sembrare d’essere. Elizabeth, l’attrice di Persona, sceglie il silenzio così come sceglie di non amare il proprio bambino, arrivando, nell’intento registico, ad emulare il Dio muto di Bergman. L’assenza di certezze di contorno delle due donne incarna il naufragio del credo dell’autore e la promiscuità dei valori di cui è preda l’Io contemporaneo. 

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Un’infermiera si deve occupare d’una attrice che, improvvisamente, ha deciso di non parlare più. Per sbloccare la paziente la donna le racconta, in una spietata autoanalisi, la propria vita, ma il rapporto si tronca perché l’infermiera scopre che l’attrice divulga per lettera i segreti che le sono stati confidati.

Recensione di Stefano Lo Verme

La giovane infermiera Alma riceve l’incarico di assistere l’attrice Elisabet Vogler, che si è rinchiusa in un inspiegabile mutismo dopo un allestimento teatrale dell’Elettra. Le due donne si recano così nella casa in riva al mare dell’attrice, in una situazione di totale isolamento; e durante il loro soggiorno Alma si lascia andare con Elisabet, confidandole i suoi pensieri più intimi e nascosti…
La parola “persona” deriva da un termine latino che indicava la maschera indossata dagli attori in teatro; emblematica, dunque, la scelta di tale titolo per quello che è senza dubbio uno dei film più profondi ed enigmatici nella produzione di Ingmar Bergman. Interpretato da due delle attrici-muse del regista, Bibi Andersson e Liv Ullmann (alla sua prima collaborazione con Bergman, e futura protagonista di quasi tutti i suoi lavori successivi), Persona è una sconcertante riflessione sui temi dell’identità e dell’esistenza, che in virtù della sua straordinaria ricchezza di allusioni e di simbolismi può prestarsi a molteplici livelli di lettura. Non a caso è considerata l’opera più ermetica del grande cineasta svedese, decisamente affascinante nella sua intrinseca ambiguità e nel suo sperimentalismo stilistico, portato oltre ogni limite mai esplorato fino a quel momento dal cinema (Bergman stesso l’ha definito come uno dei punti fondamentali della sua carriera).
Il film è caratterizzato da un impianto fortemente teatrale, nel quale l’unità di tempo (della durata di pochi giorni) e di spazio (la villa sulla spiaggia) sono funzionali all’essenzialità della trama, interamente costruita sul confronto fra due donne: Elisabet (Ullmann), un’attrice che si è autoinflitta un volontario mutismo, ed Alma (Andersson), l’infermiera che ha il compito di assisterla e di occuparsi di lei. Bergman focalizza l’attenzione dello spettatore proprio sul complesso rapporto che si va instaurando fra le due protagoniste (con un ampio uso del primo piano), in un lungo dialogo che è piuttosto un monologo: l’unica a parlare, difatti, è la giovane ed ingenua Alma, mentre la più matura Elisabet sceglie di rimanere prigioniera di un silenzio ostinato quanto incomprensibile. Ed è così che Alma si aprirà in modo inaspettato e rivelerà all’altra donna i suoi segreti più reconditi, in un’atmosfera gravida di tensioni emotive e sessuali che sfoceranno presto in uno scontro serrato e violento.
L’apparente realismo della narrazione è destinato ad essere progressivamente sovvertito da una serie di sequenze oniriche e allucinate, alcune delle quali sembrano quasi voler denunciare il carattere metacinematografico dell’opera: a un certo punto, il nastro della pellicola va a fuoco e si distrugge; una medesima scena viene ripetuta per due volte consecutive; il film si apre e si chiude con immagini surreali, ricche di significati simbolici declinati in chiave psicanalitica (la figura del bambino che protende il braccio verso il volto della madre). In fondo, Persona non è altro che una sconvolgente rappresentazione dell’inconscio femminile, gravato dall’angoscia di una maternità non desiderata e da un senso di colpa incessante e opprimente, dal quale scaturisce un’incapacità di amare e di accettare se stessi. E infatti, i rispettivi ruoli delle due donne finiranno per confondersi e mescolarsi, in una sovrapposizione di identità che è anche uno scontro fra una personalità dominante ed una più debole; o forse, per tutto il film non ci troviamo di fronte che ad un unico personaggio, il quale subisce un effetto di sdoppiamento dei diversi aspetti della sua psiche (da notare che “Alma” in spagnolo vuol dire “anima”).
Assolutamente rivoluzionario nello stile e nelle tecniche registiche (memorabili le scene in cui i volti delle due attrici sono racchiusi nella stessa inquadratura), Persona è uno dei più spiazzanti capolavori del cinema di Bergman, impreziosito dalla splendida fotografia in bianco e nero di Sven Nykvist. Osteggiato dalla censura all’epoca della sua uscita per alcuni espliciti riferimenti sessuali (inclusa la descrizione di un’orgia), in seguito il film ha costituito un modello d’ispirazione per registi quali Robert Altman (Tre donne), Woody Allen (Un’altra donna) e David Lynch (Mulholland Drive).

ilMorandini

Su MYmovies il Dizionario completo dei film di Laura, Luisa e Morando Morandini

Due personaggi nella rarefatta cornice di una camera di ospedale e di una spiaggia deserta. Rapporto vampiresco tra un’attrice malata, murata in un mutismo ossessivo, e la sua infermiera che, paziente, aspetta. Stilisticamente è l’opera più sperimentale di Bergman i cui temi tipici (angoscia davanti alla violenza, egoismo, paura della morte e della procreazione) sono calati in un pessimismo radicale. Insieme con Sussurri e grida (1973) Bergman lo considera il suo film più avanzato.

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Persona - Recensioni del pubblico

RECENSIONI DALLA PARTE DEL PUBBLICO

L’ANALISI DEL PROPRIO IO

lunedì 14 novembre 2011
Paolo Bisi

Alma, giovane infermiera non ancora troppo sicura delle proprie capacità, riceve l’incarico di curare un’attrice diventata muta, preda irrecuperabile della sua terribile insicurezza. Giunto al suo 23° film, Ingmar Bergman si tuffa verso un cinema sperimentale, verso orizzonti non ancora esplorati, dimostrando ancora una volta tutto il suo grandissimo talento.

PERSONA TRAGICA
FORTE VULPES VIDERAT.

giovedì 8 marzo 2012
salvo

Il film è la storia, volutamente scarna ed essenziale, dei rapporti che due donne sono costrette a vivere quando una di loro subisce un attacco di afasia e l’altra le viene affiancata per fornirle assistenza paramedica e compagnia, durante la convalescenza. La prima delle due è un’attrice, affermata e famosa, che nel corso della rappresentazione di un dramma – si tratta della Elettra di Sofocle – […] Vai alla recensione »

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FRASI

Credi che non ti capisca? Tu insegui un sogno disperato, questo è il tuo tormento. Tu vuoi essere, non sembrare di essere. Essere in ogni istante cosciente di te, e vigile. nello stesso tempo ti rendi conto dell’abisso che separa ciò che sei per gli altri da ciò che sei per te stessa e provoca quasi un senso di vertigine, un timore di essere scoperta, di vederti messa a nudo, smascherata, riportata ai tuoi giusti limiti. Perché ogni parola è menzogna, ogni gesto falsità, ogni sorriso una smorfia. Qual è il ruolo più difficile? Togliersi la vita? Ma no, sarebbe poco dignitoso. Meglio rifugiarsi nell’immobilità, nel mutismo, così si evita di dover mentire, oppure mettersi al riparo dalla vita, così non c’è bisogno di recitare, di mostrare un volto finto o fare gesti non voluti. Non ti pare? Questo è ciò che si crede ma non basta celarsi perché, vedi, la vita si manifesta in mille modi diversi ed è impossibile non reagire. A nessuno importa sapere se le tue reazioni siano vere o false. Solo a teatro il problema si rivela importante e forse neanche lì. Io ti capisco, Elisabeth… e quasi ti ammiro. Secondo me devi continuare a recitare la tua parte fino in fondo finché essa non perda interesse, e abbandonarla così come sei abituata a fare passando da un ruolo all’altro.

Dialogo tra La dottoressa (Margaretha Krook) – Elisabeth Vogler, l’attrice (Liv Ullmann)
dal film Persona

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Persona - Recensioni del pubblico

RECENSIONI DELLA CRITICA

LE PAROLE E LA PAURA DI VIVERE

Aldo Garzia
Liberazione

Intorno a Persona (titolo preso in prestito dal latino «dramatis persona», cioè «maschera») si sono a lungo scervellati gli studiosi di Ingmar Bergman. II film è infatti considerato uno dei capolavori della filmografia bergmaniana: sperimentale nelle tecniche di montaggio e di studio della luce (hanno fatto scuola i fotogrammi del direttore della fotografia Sven Nykvist che sovrappongono i volti delle […] Vai alla recensione »

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