Il Castello di Borgomale (Alba, Cuneo) e la leggenda di Nella di Cortemilia – di Rocambole Garufi

Nella di Cortemilia

di Rocambole Garufi

I

Un giorno un mio ex alunno, ormai diventato vigile urbano, mi accompagnò all’ufficio anagrafe del Comune di Cortemilia, in provincia di Cuneo, per alcune pratiche relative alla mia richiesta di residenza.

Nella stanza trovammo due spilungoni col viso ossuto e gli occhi azzurri che si guardavano in cagnesco fra di loro.

Per fortuna della pace, però, mi conoscevano. Perciò, sospesero le aggressioni per non dar scandalo e mi salutarono.

“Questione di eredità, scommetto!” dissi, intromettendomi nel loro litigio.

“Peggio!” rispose uno dei due, che portava i baffi. “Questione di tomba!”

“Ma, le sembra umano non fare entrare una sorella nella tomba di famiglia?” mi chiese l’altro, che del primo era il cognato… e non portava i baffi.

Presi l’aria contrita di circostanza.

“Scusami” gli dissi. “Non sapevo di tua moglie… Ti faccio le mie condoglianze!”

“Macché!” esclamò Coi baffi – e qui cito volutamente l’Elio Vittorini di “Conversazione in Sicilia” -. “Mia sorella scoppia di salute! Seppellirà me e, speriamo prima… pure lui e tutto il quartiere di San Michele!”

“E, quindi, dov’è il problema?” chiesi.

Coi baffi indicò Senza baffi, alzando il pugno in un teatrale gesto di maledizione.

“Lui è di San Michele!” sibilò come se avesse sibilato la peggiore delle ingiurie. “Io non ce lo voglio quella gente nella mia tomba di famiglia… quando sarà!”

“Fosse per me, con quelli di San Pantaleo non ci starei neanche morto!” ribatte’ Senza baffi, a muso duro.

Il mio ex alunno scoppiò a ridere.

“A posto!” disse a Senza baffi. “Allora fai questo: piazza tua moglie nella tomba della tua famiglia e l’affare è fatto!”

“Non ce l’ho la tomba, io… e mia moglie non vuol restare a passeggiare per l’eternità sulle rive dell’Uzzone come Nella di Cortemilia.”

“Ah!” esclamai.

“Lo vede, professore, dove diventiamo litigiosi, noi della Langa? Altro che piemontesi falsi e cortesi!” mi provocò il mio ex alunno, ricordandosi di tutte le mie tirate in aula sul rispetto per i defunti che abbiamo in Sicilia.

“Eh, no!” risposi. “Invece, mi sembrate maledettamente uguali a noi siciliani! Nella mia Militello si bisticciano il Divin Salvatore e la Madonna della Stella, figlio e mamma addirittura! Eppoi, da noi con l’assegnazione delle tombe ci si gioca l’elezione a sindaco!… Comincio a credere che, per mentalità, Nord e Sud non vogliano dir niente. C’è la testa contadina e la testa industriale…”

Ambedue i contendenti, a quel punto, si voltarono verso di me.

Non avevano una faccia tranquillizzante. Sembravano Aiace Telamonio e Aiace Oileo, quando si piazzarono davanti alle navi grece attaccate dal troiano Ettore e divennero due solidi bastioni pronti a far male.

“Vallo a spiegare questo concetto a quelli del Nord!” pensai.

“Come non detto!” perciò aggiunsi. “Lo so che voi avete Miroglio, Ferrero, Famiglia Cristiana e Dio sa quant’altra roba e noi abbiamo soltanto le arance, che, fra l’altro, non sappiamo neppure vendere!”

“Beh, c’è della brava gente anche da voi…” disse Senza baffi.

“Ottimo!” dissi. “Allora, perché non mi raccontate la storia di Nella di Cortemilia, prima di finire di scannarvi fra voi?”

II

A metà della strada che da Alba porta a Cortemilia, proprio nel pieno di una curva che scende verso il fondo valle, dal velo nuziale fatto di nebbia che veste la Langa spunta l’arcigna solidità del maniero di Borgomale.

Sulle guide turistiche viene chiamato il “Castello delle cinque torri”; ma, in verità, ciò che si nota subito è la nudità delle sue pietre, piuttosto in contrasto coi verdi alberi e le viti nere e verdi – che, per l’umidità – che in quei posti non manca mai – sembrano dei quadri su cui s’è passata una mano di vernice -.

“Borgomale, ovvero Borgo del Male…” si sente dire spesso.

Ma, probabilmente, non è così. Male dovrebbe significare castello e, quindi, è come se dicessimo “Borgo del castello”.

Sta a picco sul torrente Berria ed è stato costruito con le pietre trovate lungo i suoi argini.

Sono pietre dalle forme plasmate dalle sapienti mani del tempo. Sembrano funghi, volti umani, figure animalesche, bocce….

Molti sono convinti che a modellarle siano state le masche, ovvero gli spiriti del posto. Non a caso, la curva da cui si vede il castello – circondata com’è dal bosco… e, quindi, sempre in ombra – la chiamano curva delle masche.

Ai bordi vi è una scarpata e una roccia sporgente, da cui scende l’acqua sorgiva che finisce sotto un piccolo ponte.

Può capitare, quindi, che il passante possa trovarsi davanti una masca sotto forma di bellissima ragazza…

Ma, in quel caso, come fece Ulisse con le sirene, è meglio proseguire senza fermarsi.

La costruzione del castello, comunque, risale al XIII secolo. Fu dimora dei conti Della Chiesa, dei marchesi di Ceva e dei Del Carretto. Infine, la famiglia Falletti ne iniziò la ristrutturazione.

Dentro la sua maestosa tetraggine di quel fabbricato si trova un piccolo gioiello d’arte: la leggenda della giovane Nella di Cortemilia.

Purtroppo, quella gentile e candida fanciulla:

“…come tutte le più belle cose

durò soltanto un giorno, come le rose…”

Almeno, così cantò – molti secoli dopo – il poeta Faber, un genovese innamorato delle storie di via del Campo, nei pressi del porto, dove arrivavano narrazioni da tutti i mari del mondo.

Un giorno, infatti, Faber lesse sul giornale la notizia di una prostituta trovata annegata e ripensò a Nella.

Capì, così, che la voce di quell’antica fanciulla voleva tornare a farsi sentire e dimostrò che, oltre al mare, anche i fiumi hanno molto da raccontare – anche un fiume piccolo come l’Uzzone, nel suo caso. Anche la sottile saia dei contadini siciliani, nel mio -.

Nella cadde nelle acque dell’Uzzone alla vigilia delle nozze col cugino Dagoberto.

Sua madre era la bellissima Adelaide, marchesa di Castino, un paesino che sta appeso alla catena di colline che divide il fondovalle di Borgomale da quello di Cortemilia.

Orfana di un crociato morto in Terrasanta, Adelaide aspettava un figlio dal marito, ma il crudele cognato, Lionello di Cortemilia, la voleva per sé.

Egli, perciò, uccise il fratello e imprigionò Adelaide in una delle cinque torri del castello di Borgomale.

La disgraziata e virtuosa marchesa poté salvarsi soltanto momentaneamente dalla violenza di Lionello, perché era già incinta. Però, dopo aver dato alla luce la figlia Nella – o Stefanella, secondo la leggenda, o Marinella, secondo me, ascoltati i versi di Faber –, Adelaide dovette affidare la bambina a una famiglia di contadini, che la crebbero così come potevano e come sapevano, senza mai dirle di essere la figlia di una marchesa.

Nel frattempo, anche l’ignobile Lionello ebbe un figlio. Si chiamava Dragoberto ed era tutto il contrario di suo padre. Senza bisogno di corona o di scettro, aveva il cappello “bianco come la luna” ed il mantello “rosso come l’amore”.

Così, passati molti anni, i due cugini si incontrarono in riva all’Uzzone.

Quel giorno, senza una ragione, Nella seguì il suo Re, esattamente come un ragazzo segue un acquilone.

“…E furono baci e furono sorrisi.

Poi, furono soltanto i fiordalisi,

che videro con gli delle stelle

fremere al vento e ai baci la sua pelle…”

Nello stesso tempo, Lionello si era recato a pregare nel Santuario del Todocco, che sorge proprio in Valle Uzzone.

Qui il Santo aveva parlato al suo cuore, per cui, Lionello fu preso dall’orrore di ciò che aveva fatto al fratello, alla cognata ed alla nipote.

Annichilito dai rimorsi, egli restituì ad Adelaide la libertà e il feudo di Castino e decise di dare in sposa Nella al figlio Dragoberto.

Di colpo, però, a quel punto il cielo diventò nero.

Forse le dispettose masche, ingelosite dalla felicità dei due giovani, cominciarono ad ammassare sopra l’Uzzone nuvole grandi e pesanti come massi.

La pioggia scese giù prepotente, invadente, indifferente.

Le acque turbinose del fiume si portarono via Nella e inutilmente Dragoberto tentò di salvarla.

La gente del posto trovò il corpo di Nella il giorno dopo, adagiato sul tronco di un melo fiorito. Ma, il suo fantasma non era più lì.

Continuò a vagare lungo le rive dell’Uzzone, cercando il suo amato, senza mai trovarlo.

Non sapeva, la poverina, che il cuore di Dagoberto era rimasto ai piedi quel melo, bussando per per cent’anni e cent’anni ancora alla sua porta.

/ 5
Grazie per aver votato!